Nikolaj per cinque anni è stato impiegato di Gazprom per il progetto della Prirazlomnaja, la mastodontica piattaforma petrolifera da un miliardo di dollari obiettivo del recente assalto di Greenpeace. Varata nel 2010 – prima al mondo di classe Arktika, capace di resistere alla morsa del pack – con i suoi 36 voraci pozzi succhia l’oro nero al largo della Novaja Zemlja. Le difficoltà tecniche dell’estrazione a quelle latitudini sono talmente tante che il progetto ha subito anni di ritardo e la piattaforma ha iniziato le operazioni solo lo scorso luglio. “Tutti i capi arrivavano da Mosca, gente che non conosce queste terre. Ragionano ancora con le teste dell’Unione sovietica, si pongono obiettivi senza tenere conto delle situazioni reali”.
La nuova corsa all’oro artico
Secondo gli scienziati la calotta polare artica si è ridotta del 40 per cento negli ultimi vent’anni ed è destinata a scomparire nel giro di un’altra decina. Succhiare gas e petrolio dove ora c’è ghiaccio non sarà più impossibile. Si stima che il sottosuolo marino oltre il 70° parallelo nasconda un terzo delle riserve non ancora scoperte, un’enormità. Nella nuova corsa all’Artico si sono lanciati in tanti, Canada, Danimarca e Norvegia prima di tutti, ma la Russia è in pole position. Nell’agosto del 2007 il braccio robotico del sottomarino Mir-2 ha piantato una bandiera russa in titanio sul fondo del Polo nord, facendo saltare sulle poltrone le diplomazie di mezzo mondo. La più grande corsa al Polo nord dai tempi di Amundsen era iniziata.
Artur Chilingarov era su quel sottomarino. “L’Artico appartiene alla Russia. Dobbiamo provare che il Polo nord è un’estensione della placca continentale russa”. Ha pochi dubbi l’esploratore, occhietti torvi e sangue georgiano. E due medaglie d’oro sul petto: eroe dell’Unione sovietica e della Russia di Putin. La convenzione Onu sul diritto del mare attribuisce a ogni Paese rivierasco, oltre alle acque territoriali, una Zona economica esclusiva di 200 miglia nautiche, ma lascia la gran parte del Mar glaciale artico alle acque internazionali. La stessa convenzione prevede però la possibilità di estendere la zona alla piattaforma continentale, qualora un Paese riesca a dimostrare che rappresenta la naturale prosecuzione delle proprie terre emerse. La Russia ci ha già provato nel 2001, ma la Commissione Onu sui limiti della placca continentale ha rispedito indietro la domanda, chiedendo a Mosca prove più solide.
Attacco all’Onu
Da allora Chilingarov non si è fermato un attimo. Ha condotto spedizioni e raccolto una montagna di dati per dimostrare che l’immensa dorsale Lomonosov, una cresta lunga 1800 chilometri fino al Polo, non è altro che un prolungamento del continente eurasiatico. “Quello che ci sta a cuore sono gli interessi della Russia. Semplicemente, non ci sono altre priorità per noi”. La documentazione è quasi pronta, e la domanda dovrebbe essere riproposta alla commissione entro quest’anno. Se le Nazioni unite dovessero riconoscere le rivendicazioni di Mosca, la Russia diventerebbe padrona di una grossa fetta di Artico.