Ci risiamo. La cancellazione dell’incontro bilaterale tra Barack Obama e Vladimir Putin in seguito alll’affaire Snowden è soltanto l’ultima, in ordine di tempo, delle schermaglie che da alcuni anni stanno increspando i rapporti Russia-Usa. E tornano i continui richiami della stampa alla Guerra fredda. L’abbiamo già scritto in un editoriale per Meridiani all’epoca del Magnitsky Act: la Guerra fredda non c’entra niente.
Il punto è che chiamare in causa gli anni della Cortina di ferro è fuorviante e fuori luogo. I rapporti tra i due paesi, nonostante tutte le differenze di vedute in politica estera, sono sempre più stretti su diversi fronti, dalla lotta al terrorismo alla ricerca spaziale, ma anche sul piano commerciale. Vedi da ultima l’abolizione dell’emendamento Jackson-Vanik, in vigore dal 1974, che ha aperto al commercio Russia-Usa su basi paritetiche.
In un suo recente editoriale su La Stampa, Roberto Toscano mostra di pensarla come noi. «No, la Guerra fredda non sta ritornando. Mancano alcuni presupposti fondamentali: la contrapposizione di due ideologie globali; la forza militare dell’Unione Sovietica; la sua proiezione a livello mondiale ivi inclusa la capacità di stabilire alleanze “anti-imperialiste” con i rivoluzionari dei Paesi in via di sviluppo», scrive Toscano.
Per prima cosa, dunque, è il peso specifico della Russia a non essere più quello dell’Urss, non tale da innescare un equilibrio di potenza tra i due Paesi. Putin però non ha mai fatto segreto di volere una Russia forte sul palcoscenico internazionale, è uno dei suoi principali obiettivi dal momento dell’ascesa al potere. L’accentramento dei poteri federali nelle mani del presidente e il sempre più aggressivo ricorso alla clava energetica nei rapporti con l’Europa e gli ex Stati satelliti non sono altro che diversi aspetti del più vasto piano putiniano, dell’idea di Russia che il leader russo ha in testa.
Ma c’è dell’altro, una causa interna. L’uomo duro del Cremlino, che nega di commuoversi durante la sua terza incoronazione e dà la colpa delle lacrime al vento gelido sulla piazza Rossa, il macho che dà l’esempio ai suoi compatrioti mostrando i muscoli, che fa la voce grossa con Washington, semplicemente piace ai russi. La Russia non è più quella degli anni ’90, debole e assetata di capitali esteri, ed è il momento di farlo vedere a tutti. È questo uno dei meriti che ogni russo riconosce a «zar Vladimir», aver restituito l’orgoglio di essere cittadini di una nazione che non prende ordini da nessuno.
La Guerra fredda era una partita a scacchi giocata sul mondo da una nomenclatura arroccata mentre ogni uomo sovietico, da Mosca a Vladivostok, sognava l’Occidente e l’American dream. Ma nella Russia dei grattacieli e dei mega centri commerciali, il soft power statunitense non fa più presa, nemmeno al cinema. Quello a cui assistiamo oggi non è altro che la vecchia, sottile arte della politica in salsa russa, fatta mostrando i bicipiti e gonfiando il petto.